Colloqui... di trentasei anni fa...

Tra qualche giorno compirò 63 anni. Nessuna voglia di fare "bilanci". Ma riguardare indietro, quello si. 

Guardarsi indietro serve spesso per autovalutarsi, per capire perché siamo quello che siamo ora... e magari evitare qualche errore del passato.

In questo mi aiuta la mia mania di scrivere, sempre, molto, anche se non tutto... Migliaia di parole scritte a mano su quaderni a quadretti (che aiutavano la mia innata disgrafia di mancino al quale, a scuola,  hanno impedito di scrivere con la sinistra). Diari, riflessioni, critiche di libri o di film, poesie...

E in quelle parole trovo il Marco di allora, profondamente pessimista, un po' decadente, e che amava i poeti crepuscolari, in primis Guido Gozzano.

Tra le tante poesie che ho scritto, poche sono "in rima", ma quella che ancora mi colpisce è proprio una scritta in rima.

Nasceva dalla voglia di cimentarmi con il ritmo "novenario doppio a rima interna" (ovvero le sillabe sono 18 per rigo, ma fanno rima ogni nove) e che riecheggiava una poesia di Gozzano contenuta nella raccolta "I colloqui" del 1911, "Alle soglie",  della quale avevo anche usato parte del primo verso (Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto) come primo verso dell'ultima strofa. Il titolo, per l'appunto è "Colloqui", ed era il mio "regalo di nozze" per una coppia di amici che si sarebbero sposati di lì a poco.

Per chi ama la "tecnica" di scrittura poetica,  il novenario è una metrica poco usata nella poesia italiana, ma 
 utilizzata anche da Pascoli e D'Annuzio, che rende l'andamento cantilenante; lo schema è suddiviso in distici doppio novenari a rima interna, la  rima è ABAB (e qualche rara strofa ABBA) con alcuni "enjambement" ("che consiste nello spezzare una frase o un gruppo di parole tra la fine di un verso e l'inizio del successivo, creando una cesura non coincidente con la fine della frase stessa"... così la spiega la AI di Google).

Perché mi colpisce ancora? Perché un Marco ventisettenne riflette sul suo atteggiarsi a "poeta" con gli altri, e come questo atteggiamento sia in fondo "finzione soltanto". Letto ora, quando i miei sforzi "artistici" sono ormai dedicati alla musica, mi rammenta che, così come non ero un poeta allora, non sono un cantante ora... ma che è tutto un gioco, anche se fatto con la massima serietà...

(PS: con molta immodestia, la quarta strofa è la cosa migliore che abbia mai scritto in vita mia...)
۞

COLLOQUI 

A Roberta e Marcello

I

Settembre; l'estate è trascorsa. Il primo acquazzone violento

già annuncia l'autunno, ed il vento aumenta d'un passo la corsa.


E' sera; è questo il momento di starmene in mesta armonia.

Il cuore riscopre la via che porta ad un dolce tormento.


Mi piace sedere tra i pini, scrutare estatico e solo

la rondine senza confini riprendere ancora quel volo


che tanto lontano la spinge fuggendo quel sole morente.

Avrà per dimora la Sfinge, lontano dal freddo Occidente.


E' l'ora ch'io torni a sedere in mesta, notturna armonia.

Dimentichi il cuore la via che porta a fittizie chimere.


M'illuse l'azzurro del cielo nell'alba c'io vissi per poco

finché fu strappato quel velo che cela il risibile e gioco


di questa esistenza terrena vissuta tra gioie e dolori,

divisa tra il riso e la pena di perdere gli anni migliori.


L'estate ci tenne al sicuro, lontano dal freddo e dal gelo,

promise un radioso futuro l'azzurro offuscato del cielo.


Amico, amica, sedete ancora al mio fianco, sereni;

se qualche attenzione porrete a questi miei versi un po' strani


conoscere meglio saprete il vostro amico nell'ombra

e forse un ritratto mio avrete diverso da quello che sembra.


II


Pensate ch'io sia troppo triste? Amici, non datemi peso!

Il mio è solo un vezzo che esiste tra chi per poeta si è preso!


Non sono poeta. Non sono neppure poi tanto sincero.

E che sia sensibile e buono, beh, questa è una balla davvero.


E chi per davvero mi prende, chi crede d'avermi compreso

vuol dire che non se ne intende. Non abbia ad esserne offeso!


Il male di cui io vi parlo è un male sottile e lontano.

E' come una sorta di tarlo che cresce nell'animo umano.


Un tempo quel male era vero, riempiva di noia il mio giorno,

soffrivo... ed ero sincero, perché non avevan ritorno


le mille speranze ed i miti di cui si nutriva la mente,

sia l'une sia gli altri sbiaditi dall'uso al dolore crescente.


Credevo un dì, e seriamente, ch'io fossi in tutto il Creato

e insieme a poca altra gente “l'ominide” più sfortunato.


E quello che allora scrivevo credetemi ch'era reale;

con rime e con versi volevo far poco più dolce il mio male.


Ma poi, che di tanto dolore, vederne un perché non sapevo

mi prese quel tarlo nel cuore, man mano che al mondo crescevo.


Che senso aveva soffrire se quel che provavo era vano?

Nessuno voleva sentire quel pianto d'un animo umano.


Di certo piacevo alla gente se andavo citando i miei versi

e in molti dicevan “Che mente sensibile a eventi diversi!”.


Ma quindi prendevano a scherno quel tanto mio lungo patire

perché, nel concetto moderno, è un debole chi vuol “capire”.


Le vita è un'eterna commedia, la vita è un gioco azzardato

ed è chi non sta nella “media” che è sempre e per sempre fregato.


La vita è finzione totale: bisogna mostrare una faccia

diversa da quella reale. Più sciocca, ma basta che piaccia!


Ed è la mia faccia fittizia che uso da un po' a questa parte;

è quella che fa più notizia, è quella in cui c'è più arte!


Non sono poeta; non più. Io vivo, lavoro, guadagno,

e quello che c'è per di più è che della vita mi lagno


soltanto per farne commedia, per farne finzione soltanto.

Ormai sono anch'io nella “media”. E questo, attualmente, è il mio vanto.


Quel tarlo, spietato e vitale, lasciato ha soltanto l'esterno;

di fuori v'appaio, si, uguale... ma non c'è più niente all'interno.


III


Amico, amica, stupite sapendo oramai come sono?

Poiché di sicuro credete che io sia sensibile e buono?


Potrei farvi credere ancora ch'io sono un poeta e che sento

ancora più forte d'allora un lungo e sottile tormento.


E' noia, la cosa che provo; ma questa è la noia del Mondo!

E' quella che sempre ritrovo se sto senza soldi un secondo!


Ma forse, amico ed amica, con me sono troppo severo,

e forse, a voler che si dica, son proprio lontano dal vero.


Restiamo ancora e per poco scrutando il cielo stellato.

E' notte, facciamone un gioco; facciamo ch'io abbia scherzato.


In fondo io sono soltanto chi voi immaginate io sia.

Trascorsa tra il riso ed il pianto l'ignota e mutevole via


ci renda compagni di viaggio... o forse, divida le sorti;

in fondo sarebbe più saggio che averne ricordi distorti.


Avanza la notte; rientriamo. Domani sarà un altro giorno.

Chissà se lontani saremo oppure faremo ritorno


sicuri alle nostre dimore scordando la notte silente

e il buio solingo dell'ore trascorse a parlare del niente.


Saremo più vecchi domani, protesi per nuove frontiere,

e forse saremo lontani distratti da antiche chimere.


IV


Mio cuore, monello e giocondo, che insegui la gioia mentita,

che affoghi nel seno profondo di questa mutevole vita


riposa; la meta domani sarà sopravvivere ancora

se stringer sapranno le mani la gioia furtiva d'un ora!


Montefiascone 23 Luglio 1989

Commenti

Post più letti