Sentire dentro - Il mio ricordo del professor Alessandro Balicchi

Sono giunto ad una età dove, pian piano, la vita mi porta via i miei maestri primi. Ciò nonostante, nulla può portarmi via  quello che hanno significato e lasciato in me... come ad esempio Alessandro Balicchi.
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Non ho foto con te o di te, nel periodo del liceo, da mostrare per far vedere che ti conoscevo, ma la foto la porto dentro, per come mi ha plasmato il tuo essere il “professor Balicchi”.

Ai miei occhi sembravi già anziano, e invece dentro eri più giovane di molti di noi, e lo dimostravi attraverso le tue scelte un po' folli, facendoci scrivere temi su Goldrake o Jeeg Robot invece che su Dante o Petrarca.

Con quei tuoi occhi vispi e canzonatori, dietro gli occhialetti di metallo, su una faccia tutta tonda (su cui noi, scanzonati studenti, facevamo sempre ironia), sei stato uno tra i primi ad intuire che in quello studente, magari non il migliore tra i tuoi, qualcosa stava sviluppandosi, crescendo pian piano, e che potrebbe essere stato il suo futuro.

Ricordo ancora quando, per un compito in classe, invece di scrivere un classico tema sull'argomento “giornalismo”, scrissi un racconto breve; e il mio stupore fu non tanto che non mi dicesti che ero andato “fuori tema”, ma che apprezzasti e, davanti a tutta la classe, dicesti: “Delle Monache, come si dice, è per venire!”.

Da quel giorno mi permettesti, forse più che ad altri, di sperimentare quello che poi avrebbe potuto essere il mio mestiere di scrittore (che poi non fu, ma questa è un'altra storia) stimolandomi di volta in volta a cercare nuove chiavi narrative, tra testi antichi e moderni.

Ricordo anche quando suggeristi a tutta la classe di lasciar perdere il libro di testo ministeriale e di comperare, se volevamo, l'antologia del Novecento di Salvatore Guglielmino; penso che, per molti di noi, leggere pagine di  Majakovskij o di Sarte, o del crepuscolare Gozzano invece che solo Pascoli o Leopardi fu una totale rivoluzione mentale.

Ma il ricordo fisso nella mia mente è quello di te che arrivi in classe con il tuo registratore a bobine Geloso, e una scatola piena di nastri, e ci annunci che, da lì a fine anno, invece della lezione, avremmo ascoltato il teatro. E attraverso quelle registrazioni, fatte da te in modo amatoriale col microfono davanti ad una radio a valvole, con talvolta in sottofondo i rumori di una casa con moglie e figlie, tu apristi a molti di noi gli occhi su cosa si potesse fare con la propria voce, spalancandoci, poco più che ragazzini, il mondo immaginario del teatro che, per alcuni, divenne davvero mestiere in seguito. E ci spingevi a "sentire dentro", piuttosto che con le sole orecchie, cercando di far crescere in noi, futuri uomini e donne, consapevolezza, sensibilità, estro.

Grazie, professor Balicchi (come studente non me la sento di chiamarti Alessandro), per quello che hai seminato in noi; e l'unico rammarico che ho è quello di non averti mostrato o dimostrato  in seguito il frutto del tuo lavoro in me.

Con immensa stima e gratitudine. Buona chiacchierata con Pirandello e Kierkegaard.

Marco

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