Il fango e la vita | 29 Marzo 2016|

 

Che la nostra società produca troppi rifiuti è un dato di fatto. Che non ci sia una reale volontà globale, tranne quella “a parole” espressa nei vari convegni (da quello del condominio su su sino a quelli mondiali) lo puoi capire quando comperi una pinzetta per le unghie che starebbe nella fessura per la carta di credito del tuo portafogli con un “packaging” (l'imballo) che con difficoltà entra in uno zaino. 

  Produciamo, consumiamo, inquiniamo. La colpa è anche un po' nostra, se poi non si trova dove mettere l'immondizia che la nostra vita di “consumisti” produce: con buona pace (e grande guadagno) di chi quello stile di vita lo coltiva e lo incoraggia a livello planetario. 

  Arriva poi il momento dove il “consumismo” che hai sempre fatto finta di odiare, ti chiede il conto; e arriva una discarica sotto casa, o una fossa con i fanghi dietro l'orto.   

  E' giusto indignarsi, sacrosanto e doveroso reagire al grido di NIMBY... ed anche qui dimostrandosi completamente assorbiti dalla globalizzazione, dove l'acronimo (che sta per “Not In My Back Yard” e significa “non nel mio cortile”) è stato coniato in una cultura che ci appartiene come i pomodori con nutella e prosciutto.   

  E' giusto, si può, si deve. Sarò io il primo a fare “barricate” (sperando bastino quelle verbali ed ideologiche) per oppormi a tale scempio. 

  Tuttavia, non posso non vedere come l'evento altro non sia che il sottoprodotto della medesima vita di “consumisti”: lo voglio, lo ottengo, lo uso, lo butto. 

  Già, perché la terra, il suolo, le case, gli edifici, le proprietà, appartengono non ad una astratta entità incorporea, a un blob proveniente dal pianeta Xenia: appartengono a uomini e donne, che li detengono, li usano li sfruttano secondo la logica con cui sono stati cresciuti. 

  Se sono stati cresciuti al rispetto, al bene comune, all'amore per il posto dove sei nato, dove i tuoi genitori, i tuoi nonni, i tuoi bisnonni hanno affondato le radici che hanno prodotto il frutto che ora tu sei, allora avrai individui che tenderanno a vivere e prosperare preservando quel luogo; per affetto, per campanilismo, o, semplicemente, perché lo amano. 

  Se, d'altro canto, in te non avrai quei valori, perché non sono stati seminati, oppure perché il seme non ha attecchito e non ha prodotto frutto, ciò che hai, il tuo avere, sarà solo mediatore dei tuoi desideri.   

  Dei tuoi, appunto: non del posto dove vivi, né dei tuoi conterranei, né di coloro che giungono per vedere l'oasi dove hai la fortuna di vivere: un mero strumento per avere, usare, buttare. 

  E' ovvio che la tale società cerchi un posto dove effettuare lavorazioni di quelli che, bonariamente e per rassicurare,  vengono detti “fanghi”.  La Treccani definisce fango “la terra dei campi o la polvere delle strade ridotta dall’acqua a una poltiglia più o meno densa e di vario spessore”; non penso sia questo tipo di fango che verrà trattato nell'impianto in costruzione alla Madonnella. 

  E' ovvio che cerchi un “affare”, qualcosa da pagare il meno possibile: così sarà maggiore il guadagno. 

  Meno ovvio è che qualcuno (e, personalmente, ignoro al momento chi sia), nato, o forse solo vissuto, o anche “passato” nel nostro paese e detentore del bene in questione, possa pensare di dare una simile eredità ai suoi concittadini (per stirpe o acquisiti), e ai suoi figli e figlie (se ne ha), solo per fare un “affare”. 

  Ma diventa ovvio se si vede il bene come uno strumento per avere, usare, buttare.  Avrà i suoi bei soldi (il suo “affare”): il resto non conta. Avere, usare, buttare. La stessa logica che ha prodotto la discarica, o la vasca di “fango da trattare”. 

  Ci fu in passato, tanto tempo fa, una società energetica che propose al sindaco del nostro paese (come pure a quelli degli altri paesi che si affacciavano sul lago) un “affare”; abbassare il livello del lago di circa un metro per poter creare un “salto” atto a far girare le turbine di una centrale idroelettrica. In cambio, il sindaco avrebbe avuto una piena disponibilità economica per le casse del suo comune, ed energia elettrica gratis per vent'anni così da illuminare strade, palazzi e persino i campi. 

  Quel sindaco, pur non essendo di Montefiascone, né di nessun altro paese sul lago, non solo respinse la proposta, ma organizzò un fronte di resistenza alla proposta assieme ad altri sindaci, e scrisse al Presidente della Repubblica chiedendo che la tale compagnia “non privasse le popolazioni attorno al lago di ciò che il buon Dio aveva concesso come immeritato premio”.

  Non divenne ricco, né famoso quel sindaco, ma salvò (almeno per quel che poteva e in quella occasione) il lago. Ma i suoi premi li ottenne comunque: furono il rispetto di gran parte dei propri concittadini, e, soprattutto, quello dei figli: “Quello che ho fatto - disse - l'ho fatto per puro egoismo; perché voglio che i miei figli possano guardarmi negli occhi, sapendo che ho fatto del tutto per lasciargli integro il paradiso dove sono nati”. 

  Ignoro se chi ha concesso l'area abbia figli; se ne ha, mi auguro per lui che non debba mai incrociare uno sguardo che dica “papà, tu sei complice”. Sarà così prigioniero anche lui della sua stessa logica: avere, usare, buttare.  

  E mi auguro che il mio sindaco abbia il medesimo coraggio di non fermarsi davanti a nulla per il  bene supremo del luogo dove è nato e che è chiamato dal popolo a salvaguardare. 

Marco

 

 PS: alcuni miei amici mi hanno chiesto a quale problema mi riferissi con questa nota. Pubblico qui sotto un link alla notizia per maggior comprensione del problema.

 http://www.viterbonews24.it/news/no-ai-fanghi-delle-grandi-città_61553.htm/ 

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