Adorare a Natale | 24 Dicembre 2016 |


Un gorgo di ricordi dolci e tristi di persone a me care
che non ci sono più, come pure di suoni e di profumi antichi, mi avvolge ad ogni Natale che arriva; memorie di
gesti ripetuti ogni anno allo stesso modo con un rispetto rigoroso
per ciò di cui erano simbolo.

Il nostro presepe era enorme, con tanto
di volta stellata tirata su da mio fratello (già all'epoca un genio
del “fai da te”) con filo di ferro e carta cielo, da cui
fuoriuscivano lampade ad incandescenza a simulare le stelle (e per
fortuna non c'è mai stato un cortocircuito!) che si accendevano e si
spegnevano con il ritmo pulsante e preciso dell'intermittenza.

Il nostro albero era un po' più
piccolo, ma pieno di luci e di quelle palle di vetro antiche e
trasparenti al cui interno c'erano paesaggi innevati o angeli
adoranti: e in cima una enorme stella luminosa che da sola consumava un kilowatt.

Io ero piccolo, ma volevo a tutti costi partecipare alla costruzione di questi due simboli che, nei miei
occhi di bimbo, mi introducevano ad una stagione magica e benedetta. La raccolta del muschio (allora non era un problema raccoglierlo, ce ne erano prati ovunque), la scelta della posizione dei figuranti nel presepe, l'altezza di ciascuna palla sull'albero... Tutto contribuiva a farmi entrare, piano piano, nella consapevolezza che stavo festeggiando qualcosa di supremamente importante: l'arrivo di un bambino... ma che era anche Dio! Che cosa strana! Che cosa inusuale! Che cosa stupenda!

Era un lento crescendo che mi introduceva a poco a poco in quello stato della mente e dell'anima che poi, da adulto, avrei conosciuto col nome di “adorazione”.

Adorare, nella forma latina da cui deriva la parola italiana, è scritto “ad orare”, che significa “parlare (orare) a qualcuno (ad)”; per me bambino il Natale era entrare in contatto con un Dio, distante ed a cui non sarei mai potuto arrivare, tramite un bambino come me che veniva a nascere in terra, e con il quale mi ci potevo confrontare, con cui potevo parlare... che potevo “ad-orare”.


Poi il mondo, la vita, e la mia voglia di fare da solo, hanno strappato per un tempo quel sogno bambino di
poter entrare in contatto con colui che mi aveva creato. Ho girato le spalle, ed ho iniziato a correre, a nascondermi, a fuggire. Sino a quando, nel periodo più buio della mia ancor giovane vita, ormai stanco, ho dovuto fermarmi, ed uscire allo scoperto.

E così, con stupore, ho capito che lui era ancora lì, il bambino rappresentato dalla statua minuta che ponevo la notte del 24 dicembre, come vuole tradizione, sotto una grotta di sassi. E non era più un bambino, ma un uomo con il quale mi ci potevo confrontare, che aveva provato al pari mio, il dolore di perdere persone amate, la disperazione di essere stato tradito, la voglia di cose non sane, la paura per quello che sarebbe accaduto domani...


Ora che sono vecchio, e che continuo a camminare a fianco di quell'uomo, so che parte del mio essere ancora capace di stupirmi per ciò che il Natale significa lo devo a quei miei primi natali, agli occhi bambini che celavano un cuore desideroso di capire il mondo che c'era sotto quella volta stellata fatta di carta cielo. Che non comprendevano a pieno la valenza di un Dio che scende in terra umiliandosi a prendere le mie medesime forme, ma che comunque “ad-oravo”, a cui parlavo, a cui affidavo i miei primi sogni come pure le prime paure nella notte.

Per questo, per quanto ho potuto, ho lottato nella mia famiglia per mantenere quella medesima tradizione sin da quando i miei figli erano piccoli, lottando contro il consumismo che tutto massifica, contro i led al posto delle lucine intermittenti, contro il senso di vuoto che dice che nella mangiatoia, sotto due ali di roccia, altro non c'è che una statua di gesso, augurandomi che anche il loro cuore bambino affidasse la loro
vita sotto la volta stellata ad un Dio che scende ad incontrarli.

L'ho fatto, nella speranza che la mio pari, essi lo faranno con i loro figli, fino alla fine dell'età presente. Perché anche loro possano “ad-orare” il Cristo che nasce come semplice uomo per potermi salvare.


Quel che abbiamo udito e conosciuto, e che i nostri padri ci hanno raccontato, non lo nasconderemo ai
loro figli; diremo alla generazione futura le lodi del Signore, la sua potenza e le meraviglie che egli ha operate. Egli stabilì una testimonianza in Giacobbe, istituì una legge in Israele e ordinò ai nostri padri
di farle conoscere ai loro figli, perché fossero note alla generazione futura, ai figli che sarebbero
nati. Questi le avrebbero così raccontate ai loro figli, perché ponessero in Dio la loro speranza e non dimenticassero le opere di Dio, ma osservassero i suoi comandamenti.”
(Salmo 78:3-6)


Marco

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