Una storia di un terremoto | 23 Novembre 2020 |

23 Novembre 1980: Il terremoto in Irpinia

Era l'ora di cena, quando dalla TV cominciarono a rimbalzare le notizie di un immane terremoto. Ci volle di giungere alla mattina perché, assieme con gli elicotteri, arrivassero dall’Irpinia le prime immagini della devastazione.

Io avevo diciotto anni, ed ero all'ultimo anno di liceo: mi recai a scuola, come ogni mattina, ma stavolta non per assistere ad una lezione, ma per decidere cosa fare. Non era possibile restare con le mani in mano, c'era da fare, piuttosto che da pensare o piangere. Lo stesso Presidente Pertini spingeva a “fare presto”.

Arrivai al liceo, e vidi come in uno specchio la mia stessa faccia dipinta su quella dei miei altri dodici tra compagni e compagne di classe: un misto di stupore, paura e rabbia. Troppo giovani per andare a spalare (non ci avrebbero mai permesso di andare, con molti di noi ancora minorenni)... Cosa avremmo mai potuto fare per “fare presto”?

Non so da chi partì l'idea, ma ci fu uno o una di noi che disse: “Raccogliamo tutto quello che possiamo e mandiamolo attraverso la Croce Rossa laggiù!”. Qualche professore storse il naso: "Le trovate tutte pur di non fare lezione!" Altri, invece, ci incoraggiarono.

E ancora, non ricordo chi di noi prese il motorino, dirigendosi verso il Comune per chiedere ci venisse data una stanza dove mettere quello che riuscivamo a trovare: coperte, vestiti, cappelli (l'inverno era alle porte), medicinali... tutto, visto che le persone laggiù avevano perso tutto.

Il Comune ci concesse la palestra della Manzoni (quella vecchia, dove ora è l'aula magna), con la sua superficie in gomma nera e le strisce fatte con il nastro isolante bianco dal prof. Marsilio Fiocchetti.

Pensavamo di raccogliere e mettere là in una giornata quello che tra le nostre famiglie e quelle degli amici più intimi riuscivamo a racimolare; ma, dopo qualche ora, non sappiamo neppure noi come, in città si sparse la voce che alla Manzoni c'era un punto di raccolta per i terremotati organizzato dalla 5° A del Liceo Scientifico.

E lì scoprimmo un volto della nostra cittadina, o meglio, dei nostri concittadini, che non avremmo mai pensato. Cominciarono ad arrivare decine e decine di persone ad ogni ora; privati cittadini, ma anche attività commerciali, iniziarono a portarci indumenti, coperte, cibo, stufe elettriche, termos, farmaci...

Non tutta la roba era nuova, e non tutta la roba era degna di essere inviata; facemmo un gran mucchio di stracci dagli indumenti più malandati, riempiendo i due spogliatoi, e ci dissero che, recuperando i bottoni, si poteva venderli ai bottonifici.

Quello che doveva essere un impegno di una giornata o due, divenne un lavoro dalle otto di mattina alle dieci di sera per più di una settimana, con il pavimento della palestra che man mano si riempiva di pacchi con grandi scritte sopra: “Indumenti nuovi”, “Indumenti semi-nuovi”, “Cibo”, “Farmaci”.

Non mi ricordo le facce di chi venne a donare; erano troppi... ma di una coppia di giovani ho ancora un ricordo vivo e presente.

Arrivarono tenendosi per mano, con due enormi pacchi ed una carrozzina: “Salve- mi disse lei con gli occhi lucidi di pianto – Vorremmo donare tutta questa roba qua... Sono tutte cose per un neonato... maschio... E' tutto nuovo... Anche la carrozzina...”.

Nella mia ingenuità di diciottenne chiesi: “Perché volete disfarvene? E' tutta roba buona, che potreste rivendere o usare di nuovo!”

Lei mi guardò, con gli occhi decisi (e belli!), colmi di pianto ma senza voler cedere ad esso, con una voce ferma e sottile ma enormemente sofferente: “A noi non servono più... almeno per il momento... Il bimbo che portavo in grembo l'ho perso qualche notte fa... Ho pensato che sia tutto più utile a qualche bimbo che è nato in Irpinia... Ti prego, accettali!”.

Li accettai, per poi correre in bagno e farmi uno dei pianti più grandi, amaro e dolce allo stesso tempo, che riesca a ricordare dei miei diciotto anni.

Montefiascone ci fu, all'epoca: le persone anche, donando senza chiedere nulla in cambio, sapendo di fare la cosa giusta, nel momento giusto.

PS: chissà cosa ne sarà stato di quella coppia di giovani, che oramai saranno forse ultrasettantenni, se avranno poi avuto figli... Chissà se mai leggeranno queste righe, riconoscendosi nel mio racconto. Qualsiasi cosa sia, sono loro debitore di un insegnamento di vita che mi ha aiutato ad essere quello che sono oggi... 

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