Beta 58 A
Ho un problema in più, da qualche tempo. Da quando ho iniziato questa nuova piccola follia. Da quando, da ultrasessantenne, mi sono messo in gioco di nuovo. Da quando ho deciso di dare sfogo a qualcosa da sempre sognato, mai realmente inseguito prima d'ora.
Il mio nuovo problema si chiama Beta 58 A. Dovrebbe essere un alleato nella mia nuova avventura, e invece è una barriera, un limite talvolta invalicabile, tra la mia anima e il mondo, quello dei suoni, della musica, del canto.
Beta 58 A è, o dovrebbe essere, semplicemente, il pezzo di tecnologia analogica con il quale il suono della mia voce viene captato ed arriva al preampli, e da lì al mixer, e poi alle casse. In parole povere, un microfono, il mio. Talvolta alleato, talvolta spietato delatore dei miei umani limiti.
Studiare canto non è semplicemente mettersi davanti ad uno spartito, oppure ascoltare un brano e cercare di imitarlo. Si, talvolta è così, quando il brano che il tuo o la tua docente ti assegna non ti fa vibrare dentro qualcosa. E allora metti in campo le varie tecniche che ti hanno insegnato: “smile”, “sob”, “laringe bassa” o “laringe alta” e quant'altro diventano i tuoi solidi alleati per ricreare un suono il più fedele possibile all'originale, ma che non sia una copia, e sia “tuo”.
Ma poi, quando ti viene assegnato un brano che hai sempre sognato di cantare, o anche che non avresti mai sognato di cantare perché appariva come una sfida troppo audace, dentro di te comincia a vibrare qualcosa di differente. Perché quel brano lo senti tuo. Perché vibra dentro di te come se fossi stato tu a scrivere quelle parole e quelle scale cromatiche. Perché ci senti la tua vita, la tua gioia o la tua disperazione, scritta in forma di suoni.
E allora non è più “il brano di...”, ma è il TUO brano; la tua anima diventa un tutt'uno con lo spartito, e non riesci più a capire quale sia la tua voglia di interpretare e quale la scrittura sul pentagramma. E si fondono insieme, divenendo altro, un tuo personale grido, una tua riflessione, amara o dolce, sulla tua esistenza.
Ed è la tua anima a cantare, non te... Ma tra essa e il mondo c'è lui... il Beta 58 A. E' un amico crudele, che mette a nudo la tua finitudine umana, quella che impedisce all'anima di dispiegarsi a pieno, di far vibrare l'aria con i suoni che senti dentro e che vorresti uscissero dal tuo apparato fonatorio fatto di corde, muscoli, diaframmi e legamenti. Lui è lì, che (spietato) usa la sua “impedenza” per raccontare la michelagiolesca sfida dei prigioni che vogliono uscire dal marmo della tua voce e palesarsi al mondo.O forse non è un nemico, ma è, semplicemente, onesto; onesto, nel farti ascoltare quella sfida, nel non farti mai sentire arrivato, nello spronarti a migliorare, a cercare di dare ancora un colpo di scalpello o di bocciarda per togliere l'ultimo pezzetto di marmo dalla tua voce per far uscire il gigante prigioniero in te.
Onesto nel dirti che la tua anima ha uno strumento imperfetto per esprimere se stessa... e sei te, con tutti i tuoi umani limiti... ma che ci puoi, ci devi lavorare su per darle voce. Per far si che quei tre quattro minuti del tuo brano che canterai di fronte al pubblico al concerto vibrino di lei, e la raccontino un poco.
Per far si che la tua esperienza sul palco non sia solo un “saggio”, ma qualcosa che ti faccia crescere nella conoscenza di te stesso, e della tua anima, prigioniera in te.

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