Ciò che resta

(Ciò che resta)
Capita di fare errori, talvolta "fatali". 

Capita di più quando si ha la testa tra le nuvole, o si è in fretta, oppure (come accade da un po' di tempo a questa parte a me) gli anni avanzano, e la lucidità... beh, non è più quella di una volta.

Intendete, non sto parlano di errori che comportino rischi a se stessi o ad altri, ma di quelli errori che, per usare un francesismo "ti incasinano la vita un bel po'".

Di questi tipi di errori, durante i miei sessantadue anni di vita, ne ho commessi una lunghissima teoria, e non voglio neppure ricordarli, figuriamoci elencarli qui!

Ma, tra tutti, quello che ho commesso stamattina è davvero un errore "illuminante"; uno di quei rari errori che, si, ti incasina la vita, ma ti apre anche a conoscenze che ti fanno più ricco, o che, semplicemente, mettono in prospettiva le priorità della tua vita.

Come ogni settimana, da ormai tre anni, il sabato ho la mia "lezione di canto"; per cui, assieme alla borsa di lavoro, ne preparo anche un'altra, dove metto abiti puliti con cui cambiarmi, il mio microfono, altri oggetti che mi serviranno durante la lezione, e (importantissimo!) il raccoglitore dove tengo tutti gli appunti e gli spartiti delle canzoni che ho studiato da tre anni a questa parte (parliamo di una quarantina di brani assortiti).

Questo faccio come routine ormai da tempo, in modo automatico, senza nemmeno pensarci, tanta è l'abitudine.

Stamattina ero di fretta e, contrariamente al solito, non ho messo il raccoglitore DENTRO la borsa, ma lo ho semplicemente preso in mano, pensando tra me e me: "Tanto mi serve tra poche ore, lo poggio sul sedile dietro dell'auto, così lo trovo già pronto per la lezione".

Sono uscito da casa, ho aperto l'auto, riposto le due borse sul sedile posteriore... e poi ho visto quattro occhi che mi fissavano intensamente... ragliando. Erano le mie due asinelle che reclamavano "qualcosa di buono", ovvero un po' di foraggio fragrante. Come fai a non accontentarle, eh!

Fatte contente Giulia e Minni (le asinelle), ho messo in moto l'auto, acceso lo stereo, messo su il brano per la lezione di questa mattina, così da ripassarlo strada facendo, e sono partito verso il lavoro. Tutto come da routine.

A giornata lavorativa finita, mi sono cambiato abiti e ho fatto per prendere l'auto e avviarmi verso la sede dell'associazione musicale di cui sono parte. Entrando ho buttato un occhio sul sedile posteriore e... SBAM! Terrore!

"Dove è il raccoglitore con gli spartiti?" No, sul sedile posteriore, dove mi ero ripromesso mentalmente di riporlo stamattina, non c'era! Col pensiero ho ripercorso le mie mosse mattutine... "Preso le borse e il raccoglitore ... aperto l'auto... messo le borse in auto... messo il raccoglitore.... SUL TETTO DELL'AUTO!!! NOOOOOOO!!!!"

Col cuore in gola ho ripercorso in auto  a ritroso la medesima strada fatta per  arrivare al lavoro cinque ore prima, nella speranza che un raccoglitore bianco si palesasse in qualche bordo della strada o in qualche anfratto a lato...

Ho cominciato a capire la fine del raccoglitore quando, poco distante da casa, ho trovato, zuppe di pioggia, alcune pagine di teoria musicale; in pratica, partendo con il raccoglitore sul tetto, esso si era aperto e avevo prodotto una sorta di "carnevale musicale" (essendo proprio in questo periodo dell'anno) dove invece di coriandoli avevo sparso spartiti e annotazioni musicali.

Nella strada fino a casa ho trovato, calpestate da pneumatici, tre delle quarantuno pagine con appunti e spartiti... Insomma avevo "perso" tre anni di studio! Quello era tutto ciò che restava.

Tra gli "effetti collaterali" c'era che anche gli appunti, meticolosamente presi dopo ore di studio per sapere dove mettere accenti, fare note lunghe o corte, mettere colore alla voce della canzone che avrei dovuto cantare quella mattina, aveva subito la medesima sorte.

"E adesso?" L'adesso significava, semplicemente, stampare un foglio con le parole della canzone, e andare a lezione, così, "senza rete".

"Meglio prenderla a ridere" mi sono detto tra me e me, anche se la frustrazione per il mio errore che buttava tre anni di lavoro era tanta. E, spiegato il tutto a Daniela (la mia docente), ho messo il foglio bianco sul leggio, e lei ha fatto partire la base musicale.

Ed è lì che ho capito, grazie a quell'errore "fatale",  una verità profonda della musica che fino ad allora non avevo visto o compreso: su quel foglio bianco con le sole parole della canzone, le note che avevo scritto sul foglio perduto si “materializzavano” via via da se, gli accenti comparivano sulle giuste sillabe, le note lunghe cadevano al posto giusto... Era come se le vedessi … e il foglio non era più bianco!

Ho capito che, quello che avevo scritto sul foglio perduto, in realtà lo avevo scritto anche (e soprattutto) dentro di me; la grafite con cui avevo vergato le note sul foglio erano passate nel mio “io profondo”, scrivendo emozioni in musica, modificando me stesso, incidendo in me note ben più indelebili della mina sulla pagina bianca.

Ho capito che, in fondo, non mi serve un foglio per sapere quali emozioni mettere in voce, perché la musica me le ha scritte dentro... basta che io le cerchi dentro. Che quello che facciamo, i miei compagni e le mie compagne di viaggio assieme a me, è scrivere in noi stessi, accumulare in noi emozioni che sapremo, al momento giusto, trovare di nuovo e, chissà, quando saremo diventati davvero bravi, crearne di nuove sul momento.

E non mi servirà un foglio, perché la musica non è toner su carta, ma emozione su anima. Ed è quello che resta!


(... però, da oggi in poi, i fogli con le note li scansiono e li metto in cloud, eh!)


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